Sustainability at Pitti:
Myar
Editoriale
Edizione 100
15.07.2021
Myar è At Your Service

Sustainability at Pitti è una serie di interviste per celebrare chi sta rinnovando il mondo della moda con un’attenzione speciale verso l’ambiente. Dando voce ai designer che mettono la sostenibilità al centro del loro lavoro, speriamo di ispirare e guidare un'ondata di cambiamento nel nostro settore, aiutando tutti a impegnarsi insieme per un futuro migliore.

Per il fondatore di Myar Andrea Rosso, l'upcycling dell'abbigliamento militare vintage non è solo un'estetica, è uno stile di vita. O, come dice lui, è "un processo di conoscenza storica", un modo per onorare il passato di un capo e rielaborarlo per il presente, attraverso una nuova storia e in modo eco-responsabile.
“Mi piace lasciarmi prendere dalla roba vintage", dice. "Trovo sempre qualcosa che mi attrae e mi colpisce. Tutti questi capi militari sono stati indossati in vite diverse, diverse parti del mondo, per diversi motivi."

L'impegno di Rosso a offrire una seconda vita ai capi militari usati è al centro del marchio Myar: il nome dell'etichetta stessa è un anagramma della parola “Army [Esercito]” e delle sue iniziali. Ogni collezione è divisa in due parti: una realizzata con capi vintage (una combinazione di uniformi militari e capi civili) e un’altra realizzata interamente utilizzando solo tessuti di recupero, raccolti tra sovrapproduzioni e scarti. Queste due anime sono unite da un punto di vista singolare e attento all’ambiente. L’idea è di utilizzare ciò che già esiste.


 
Prima della presentazione della sua ultima collezione a Pitti, abbiamo incontrato il designer per saperne di più del brand che ha fondato nel 2015 e della sua produzione. Ecco la nostra intervista qui di seguito.
Puoi raccontarci come è iniziata la tua passione per le divise militari e come influenza il tuo marchio?

Sono fissato con l'abbigliamento usato/vintage da quando ero adolescente (30 anni fa!!). La domenica visitavo molti mercatini delle pulci, acquistando oggetti usati di ogni tipo, ma i capi militari mi hanno sempre attirato più di tutti. Sono cresciuto negli anni '90 in mezzo a skater e writers, portavamo i nostri pantaloni cargo con orgoglio. I capi militari sono resistenti, comodi, hanno molti pattern eccezionali; facevano parte dello stile della "generazione X", quindi è stato facile inserire questo ingrediente militaresco in Myar.

 
Parlaci della collezione che presenti a Pitti quest’anno. Qual è la storia che ci sta dietro?

Non c'è storia! Per la prima volta, non c'è un tema o un mood di stagione. Presentiamo vari prodotti; capi militari usati e tessuti di recupero personalizzati con metodi diversi, incorporando tecniche innovative come laser, termosaldatura e tintura naturale. Tutte queste personalizzazioni fanno parte di una piattaforma che abbiamo chiamato “At Your Service,” con cui offriamo ai clienti la nostra esperienza  con i capi militari; sensibilizzando sulla “trasformazione sartoriale dell’upcycle” per realizzare collezioni uniche con un approccio responsabile.

Dove ti rifornisci per i tuoi capi vintage? Hai dei posti preferiti?

Il Giappone e gli Stati Uniti sono i migliori paesi dove cercare e c'è una buona cultura di collezionisti del militare in Inghilterra, ma l'Italia ha grandi risorse. Prima della pandemia, andavo in molti mercatini militari, Militaria a Milano per esempio, e compravo molti prodotti.
 
Cosa cerchi quando compri? Com’è secondo te il "pezzo perfetto"?

Ci sono pezzi che ti catturano; senti di doverli avere. Il camouflage, la silhouette, il tessuto, la sua realizzazione, i colori, gli accessori, i simboli militari: sono tutti gli elementi che mi attraggono di più. Avendo visto molti capi, ora posso riconoscere i diversi toni di verde e selezionare quello più unico.

Il capo perfetto non esiste anche se mi metto spesso la mia camicia mimetica British desert!

Puoi parlarci del tuo lavoro di upcycling?

Con i capi militari usati la prima cosa da fare è lavarli! Poi, dopo che ne provi uno e ne senti la contemporaneità, se la vestibilità non corrisponde a quella che hai in mente, gli dai una nuova forma con un approccio taglia e cuci sartoriale.

Ci sono molte tecniche innovative che si possono applicare ai capi, oggi. Trovo molto interessanti le tinture naturali e le stampe laser. Ogni capo è unico, ogni capo ha un passato, personalizzandolo gli stai solo regalando un presente, un uso futuro.

Allo stesso tempo, prendiamo tessuti e finiture di deadstock da diversi fornitori e creiamo nuove silhouette rispettando le forme e i dettagli militari del passato. Non produciamo materie prime, acquistiamo ciò che già esiste e questa è la parte più creativa del processo di upcycling.

 
Cosa succede ai materiali che non usi?

Conserviamo gli scarti per riutilizzarli. Ci piace mettere a frutto la creatività nel design per utilizzare il maggior numero possibile di scarti. Non siamo accumulatori, ma non buttiamo via nulla: qualunque cosa troviamo, la usiamo per creare qualcosa. Con la nostra nuova piattaforma At Your Service, l'obiettivo è produrre esattamente ciò che ci viene richiesto, in modo che gli scarti siano sempre meno.

Come coniughi una consapevolezza dell'impatto climatico dell'industria della moda con la progettazione e la creazione di nuovi prodotti?

Partendo dal presupposto che non vengono prodotte materie prime per i nostri prodotti. Ricicliamo i prodotti esistenti e usati invece di ordinare tessuti e rifiniture diversi con la loro lunga lavorazione di tintura, tessitura, lavoro a maglia, lavaggio, ecc. e con un enorme impatto sull'ambiente. Da quando abbiamo iniziato, abbiamo cercato di essere il più precisi possibile per quanto riguarda tutti i numeri di produzione.


 
Quali sono le maggiori sfide che i designer si trovano ad affrontare nella creazione di collezioni responsabili?

Miriamo a educare il più possibile i nostri consumatori sul prodotto che acquistano, anche per giustificarne il prezzo. A volte l'hype e l'impulso del momento non ti fanno pensare al motivo per cui stai acquistando [qualcosa]. Penso che l'ostacolo maggiore sia che la velocità del fashion system ti guida nella direzione sbagliata.


 
Cosa ne pensi dell’impegno del settore verso la sostenibilità? Quale cambiamento vorresti vedere? 

Sono migliorate tante cose per quanto riguarda le innovazioni tecniche, le normative sociali e la consapevolezza dei consumatori. Il consumatore oggi chiede molto, rispetto agli sforzi verso la sostenibilità di un marchio. Penso che sia sempre una questione di formazione e conoscenza. La politica e le normative di un paese giocano un ruolo importante, quindi la mia speranza è che vedremo sempre più lezioni di etica e ambientalismo a partire dalla scuola materna.

 
 
Hai qualche consiglio per i marchi e i designer che vorrebbero essere più sostenibili? 

Ne ho molti! Ma ne do solo uno per cominciare: inizia ripulendo il tuo guardaroba e troverai le risposte più creative!



 
Potrai esplorare le collezioni, contattare il brand, richiedere un appuntamento online e molto altro ancora.