S|Style
Sustainability at Pitti
Part One
Editoriale
Edizione 102
19.05.2022
Sustainability at Pitti è una serie in due parti che celebra gli innovatori eco-sostenibili della moda. A Pitti, vogliamo puntare i riflettori sui marchi che stanno veramente mettendo al primo posto pratiche responsabili e dimostrando che dare priorità alla tutela del pianeta non significa compromettere lo stile. Speriamo così di ispirare e guidare un'ondata di cambiamento all'interno del nostro settore, per costruire insieme un futuro migliore.

Ecco i primi cinque brand selezionati da Giorgia Cantarini per S|STYLE: Waste Yarn Project, Margn, Curious Grid, Mworks e BENNU.
Waste Yarn Project

Durante le sue visite ai fornitori, Siri Johansen, al tempo Head of Knitwear per varie case di moda di lusso, aveva notato la presenza di tante scatole di filati avanzati. Ognuna era piena di colori e materiali diversi ma, per vari motivi, sarebbe rimasta inutilizzata, destinata alla discarica o all'incenerimento. Il progetto Waste Yarn nasce dal desiderio di porre fine a questi sprechi e creare capi di maglieria belli e unici che le persone vogliano indossare per sempre.
Cosa presenterai a Pitti quest'anno?

Presenteremo la collezione ONE&ONLY. È la nostra collezione principale, tutta progettata utilizzando una ruota della fortuna che fornisce le informazioni a chi la realizza su come rendere unico ogni capo. È tutta fatta a mano a Shanghai. Poi presenteremo i nuovi capi che stiamo creando in Europa utilizzando filati deadstock di una filatura italiana [e] prodotti su una macchina per maglieria elettronica. Lavorare con queste macchine è più impegnativo con l’uso di filati deadstock, quindi abbiamo pensato capi dalle forme semplici. E anche alcuni accessori fatti a mano all'uncinetto, realizzati con filati italiani deadstock. L'idea è di far sì che le persone possano scaricare i pattern e crearli con i loro filati in avanzo.

Come garantite una produzione responsabile?

Tutti i nostri materiali provengono da stock di sovrapproduzione. Non tingiamo nulla, utilizziamo solo ciò che è già disponibile. Questa stagione abbiamo iniziato a lavorare con la filatura Filpucci e a utilizzare il loro deadstock (tra l’altro, ci siamo incontrati a Pitti Uomo lo scorso gennaio). Per quanto riguarda la produzione, assumiamo il nostro personale e ci assicuriamo che le loro condizioni di lavoro siano buone.
Quale cambiamento vorresti vedere nella moda in termini di sostenibilità?

Ogni capo o prodotto ha una sua impronta ambientale. Un grosso problema è che “sostenibilità” non è un termine regolamentato, chiunque può usarlo, ed è così abusato adesso che è difficile coglierne il significato. Per me, questo è un problema importante e per il quale è necessario un cambiamento. È davvero possibile essere un'azienda di moda sostenibile?
Margn

Margn nasce per dare spazio a culture quotidiane anticonvenzionali. Seguendo il motto "Libertà nella disciplina", le collezioni eco-consapevoli dei fondatori Ranjit Yadav e Saurabh Maurya parlano direttamente della loro infanzia "modesta e disciplinata", trascorsa in piccole città dell'India rurale. Ogni capo porta un riferimento ai pratici indumenti indossati dai contadini e alle divise scolastiche degli stessi designer. Un invito a considerare i vari modi in cui anche una divisa diventa unica a seconda della persona che la indossa, a mettere in discussione i concetti di mascolinità, identità e le norme sociali predefinite.
Potete parlarci della collezione SS23?

I nostri capi rappresentano un senso di modernità attraverso la lente della cultura e dell'artigianato, definendo le idee tradizionali con cui siamo cresciuti. Con la sua forma allungata, il simbolo umano di Margn, viene utilizzato per formare pattern simbolici che imitano la relazione tra esseri umani. Tecniche tradizionali artigianali come quella del Sujani diventano capispalla funzionali, caratterizzati da motivi a maglia moderni e audaci. Le silhouette e i layer anticonvenzionali vengono rivisitati, portando un tocco di spirito di ribellione ai capi fondamentali del guardaroba. Continuiamo anche a utilizzare paracadute riciclati e tessuti/filati deadstock.

Come garantite una produzione responsabile?

Collaboriamo con piccole comunità locali di agricoltori per le materie prime e artigiani per i nostri capi realizzati a mano. È una relazione simbiotica tra noi abitanti del posto, che impariamo e ci incoraggiamo a vicenda. Tutta la nostra maglieria fatta a mano è realizzata da un team al femminile di Kullu, in India. Con questa collezione, continua anche la nostra collaborazione con una comunità di donne nell'Himalaya settentrionale, che creano i nostri pezzi più caratteristici come argyles e ikats.
Siamo consapevoli della nostra impronta ambientale, quindi utilizziamo meno acqua e materiali a basso dispendio energetico come il cotone Kala (che è una varietà di cotone completamente piovana), materiali biologici e rigenerati come borse a sacco riciclate, paracadute, stuoie, filati  e tessuti deadstock, tra gli altri. Cerchiamo di mantenere la nostra produzione il più locale possibile.
 
Cosa ne pensi degli attuali sforzi verso una maggiore sostenibilità dell'industria della moda?

L'industria ha ancora problemi di sovrapproduzione e spreco di materie prime, e continua a essere responsabile del 10% delle emissioni globali di carbonio, stando ai dati del 2021. Le aziende più grandi non sono chiamate a rispondere delle loro azioni, sia per quanto riguarda l'uso di tessuti di bassa qualità e non biodegradabili, sia per lo sfruttamento dei lavoratori. È un circolo vizioso tra consumatori poco informati che scelgono la convenienza rispetto alla sostenibilità e aziende che creano attività redditizie con alti margini di guadagno.
Bennu

Niccolò Chiuppesi ha fondato Bennu nel 2021 con un chiaro intento: recuperare il passato e proteggere il futuro. Pertanto, le collezioni Bennu sono realizzate esclusivamente con capi invenduti e tessuti in eccesso, con l'obiettivo di ridurre l'inquinamento causato dalla sovrapproduzione e seguire un ritmo più lento rispetto a quello che caratterizza attualmente il settore della moda. Inoltre, Bennu si impegna anche a livello sociale con le sue collezioni, collaborando con fornitori e organizzazioni che aiutano il marchio a crescere in un modo che sia positivo per le persone e per il pianeta.
Cosa presenterai a Pitti quest’anno?

Bennu presenta ORIGINE, una collezione sviluppata con la Sartoria Sociale della Fondazione Archè, una fondazione che aiuta bambini e famiglie vulnerabili a costruire reti sociali, abitative e di autonomia lavorativa fornendo servizi di supporto e cura. ORIGINE celebra un rinnovato legame tra uomo e natura con una collezione realizzata reinterpretando capi sartoriali e tessuti recuperati da giacenze invendute. Si fa portavoce di un cambio di passo nella produzione e nei consumi e di una nuova sintonia nel nostro rapporto con l'ambiente.

Cosa ne pensi degli attuali sforzi verso una maggiore sostenibilità dell'industria della moda?

Sono fiducioso perché le persone stanno diventando sempre più consapevoli rispetto alle questioni ambientali e sociali nell'industria della moda. Non sto dicendo che sarà un processo facile e veloce, ma la strada è quella giusta e dobbiamo percorrerla mano nella mano. Inoltre, i marchi devono agire per educare e rendere un approccio responsabile un pilastro del loro progetto. Devono creare un nuovo modo di comunicare attraverso le loro creazioni.
Cosa vorresti che cambiasse?

Mi piacerebbe vedere un dialogo più dinamico tra persone e brand. I brand di moda sono sempre stati un riflesso del cambiamento sociale e storico, e si sono fatti portavoce di molte delle battaglie sociali del secolo scorso. Ora, questo ruolo si trasferisce nella battaglia per la tutela del nostro pianeta. Abbiamo bisogno inoltre di rompere con la  pratica di misurare la salute di un marchio solo in base alle sue attività economiche e finanziarie. Nel 2022 un brand non può funzionare bene se non è equilibrato nel suo rapporto con l'ambiente e le persone coinvolte nel brand stesso. Gli asset ambientali e sociali devono diventare una pietra miliare nella misurazione del suo valore.
 
Curious Grid

Curious Grid, di Sheetal Shah, è un brand androgino che esplora le identità culturali attraverso la pratica artigianale. Ispirandosi al workwear e alle tecniche sartoriali, Shah gioca con le forme, la consistenza e il colore per creare collezioni che in maniera discreta ristabiliscono le norme dell'abbigliamento maschile e fondono tradizione e modernità. Le collezioni si basano sull’upcycling di tessuti di recupero e sono spesso create in collaborazione con artigiani in India e in Italia, per cui ogni linea è una produzione limitata, unica e che porta con sé una storia individuale.
Cosa presenterai a Pitti quest’anno?

Presenterò una linea unisex chiamata Break Free, in cui la libertà degli abiti classici si traduce in un workwear funzionale più divertente e colorate. Anche quest'anno, la collezione valorizza sostenibilità e artigianato. Abbiamo lavorato con artigiani in India per realizzare tessuti fatti a mano, che sono in 100% cotone Khadi, un filato utilizzato ai tempi dell'indipendenza dell'India. Usiamo anche indaco sostenibile e coloranti naturali per il denim, per il quale lavoriamo con artigiani in Italia. Tutta la nostra produzione è fatta in Italia in uno stabilimento di Milano che ci aiuta a realizzare le nostre piccole capsule collection.

Cosa ne pensi degli attuali sforzi verso una maggiore sostenibilità dell'industria della moda?

Si parla molto di sostenibilità ed è diventata una sorta di trend. Sono felice di vedere molte nuove pratiche e persone che si sforzano di trovare vari mezzi attraverso l'artigianato, la tecnologia e la consapevolezza culturale.
 
Cosa vorresti che cambiasse?

Sarei felice se il talento giovane emergente venisse notato e sostenuto economicamente. Sarebbe una spinta per portare avanti il lavoro e stimolare nuove idee. Ogni marchio e designer ha una prospettiva specifica e unica. Sarebbe bello vedere più pratiche sostenibili che siano scalabili dal punto di vista aziendale.
 
Mworks

Martin Liesnard e Marie Bernet sono le tre M dietro Mworks, che è più un collettivo che un brand. Il marchio parigino si descrive come un "hub", che invita creativi, produttori, artigiani ed esperti a unirsi e sviluppare idee e tecniche insieme. Con questo approccio collaborativo, Mworks mira a creare capi che siano tanto ecologicamente e socialmente consapevoli e pionieristici quanto belli.
 
Cosa presenterete a Pitti quest’anno? Potete parlarci della vostra collezione?

Abbiamo iniziato a pensare al tema della collezione basandoci sul motto: “I ragazzi in pantaloncini amano i fiori”. Lo slogan è scritto su una t-shirt vintage che Martin ha trovato al mercatino delle pulci di Bruxelles. La frase era molto accattivante, semplice e diretta, esattamente nel tono che volevamo per questa collezione. Abbiamo affrontato il tema floreale dal punto di vista di un fiorista: è un approccio poetico e sensuale mescolato alla realtà della routine quotidiana di un laboratorio. Quindi la collezione è influenzata anche dalle silhouette e dai colori del workwear: grigio, blu elettrico, bianco sporco, a blocchi di colore) con un tocco di sensibilità.
Ogni stagione, collaboriamo con un workshop per promuovere il loro know-how e creare progetti di abbigliamento collaborativi. Per questa stagione stiamo lavorando a un progetto che sarà prodotto con Lener Cordier che ha sede ad Hazebrouck (Francia) ma anche in Ucraina, dove stanno facendo del loro meglio per mandare avanti la produzione dall'inizio della guerra. Con loro realizzeremo alcuni dei nostri vestiti con l'obiettivo di contribuire alla tutela dell'industria tessile locale.
Quali sono i maggiori ostacoli per la produzione di collezioni responsabili?  Cosa vorreste che cambiasse?

I prezzi. Tutto è ancora costoso! Le aziende e i marchi più grandi dovrebbero lavorare per democratizzare davvero i processi. Piccole aziende e grandi aziende dovrebbero collaborare per condividere le loro best practice e pensare al domani. Crediamo che la moda del futuro sia una questione di scambio tra tutti gli attori del settore e di rapporti duraturi con lavoratori e talenti locali ovunque.

Avete qualche consiglio per designer/brand emergenti che sperano di avere un impatto positivo?

Inizia in piccolo. Prenditi il ​​​​tuo tempo. Non cercare di ricreare i modelli di business dei marchi di successo. Non cercare di essere sostenibile al 100% fin dall'inizio, è impossibile. Sii trasparente con i tuoi clienti e partner. Non vedere la sostenibilità come un vincolo ma come una risorsa per dare vita a nuove pratiche e opportunità creative.
 
Visita le pagine business dei protagonisti: