MFF: Silvia Bini
Editoriale
Edizione 99
07.04.2021
«La moda uomo ha bisogno di più eleganza e qualità»
Secondo la buyer, che gestisce cinque boutique sulla costa toscana, troppo streetwear sta uniformando il guardaroba maschile, a discapito della personalità e dello stile

«Stiamo vivendo un periodo drammatico per la moda. La pandemia sta tagliando le gambe a tutto il settore, commercianti inclusi». Inizia così l’intervista con Silvia Bini, riferimento per il luxury shopping sulla costa toscana, con cinque boutique che rappresentano sia le griffe più conosciute sia gli innumerevoli brand di ricerca. «Durante tutta la mia vita professionale ho dovuto superare momenti difficili, ma mai nessuno avrebbe immaginato di doversi trovare a che fare con una situazione simile. Tutto è drammatico e ci lascia esterrefatti».

Quali ripercussioni vede nel settore moda?
Siamo fuori controllo totale. Apriamo e chiudiamo i negozi con grave danno per gli ordini e le collezioni. Tutto questo inevitabilmente si riflette anche sul comparto produttivo, di terzisti e fornitori. E poi la moda maschile ha sofferto nelle ultime tre stagioni molto di più di quelle femminile, al di là della crisi pandemica, manca infatti di qualità.

Ci spieghi meglio il suo pensiero ha sulla moda moda maschile?
Negli ultimi anni la moda, soprattutto quella maschile, è andata sempre di più verso lo streetwear: felpe, jeans, sneakers e t-shirt. Questa massificazione ha reso da una parte più facile la vendita, dall’altro ha impoverito di qualità le collezioni. Le stesse vendite online abbassano la qualità. Oggi la moda è molto visiva, ma di contenuto ne ha ben poco. La moda, soprattutto maschile, dovrebbe recuperare i codici del passato: stile, eleganza e buona educazione.

Quali potrebbero quindi essere le strategie per un nuovo rilancio?
Personalmente lo scorso anno avevo ricominciato, un po’ controcorrente, a rivestire l’uomo “da uomo”, proponendo di più in negozio bei cappotti, belle giacche nelle linee e nei materiali, ripensando a tutto quello che avevo imparato fin da bambina stando accanto a mio padre: il galateo dell’abbigliamento, la qualità, l’eleganza, lo stile. Ecco, tutto questo secondo me potrebbe essere la chiave del rilancio. Io sono cresciuta a pane e gabardine. Ma sa quanti giovani stilisti non conoscono le tipologie dei tessuti? Quando ero piccola, da un tessuto si decideva il capo da confezionare. Oggi il designer disegna il capo, e poi tutto il resto viene gestito da altri colleghi, considerando costi e ricavi. E poi basta con questa overdose di creatività che alla fine, paradossalmente, non dà personalità al guardaroba.

Oltre a questo momento, ci sono stati altre pietre miliari nella sua vita professionale?
Certo, quando ho deciso di lavorare per le boutique di famiglia. Era fuori dal mio programma di vita ereditare l’attività, volevo andare negli Stati Uniti e seguire le mie passioni, ma poi mi ci sono ritrovata e, una volta entrata per dare una mano, ci sono rimasta.