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Federico Marchetti: «Il futuro della moda»
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Edition 98
30.07.2020

Connessione attivata. Smart interview, ovviamente. Ecco il viso di Federico Marchetti che compare su uno dei quadranti dello schermo. Con un sorriso. In fondo se ha costruito per la moda un regno digitale, la tecnologia è sicuramente pane per i suoi denti. E se si è mai frequentato il suo ufficio con una sala riunioni dai vetri trasparenti ma insonorizzati per meeting top secret, si vede che collegare cervelli da remoto è la normalità. Ma la curiosità scatta. Come vivrà l’uomo che ha definito un sistema fashion-nevralgico virtuale?
 

La cam aiuta con il collegamento da casa. Una grande libreria alle spalle, piena di pubblicazioni, ovviamente. Primo indizio, un giradischi, svela una passione per i vinili. E poi un quaderno giallo con le pagine scritte a penna, che a un certo punto mostra tra le mani. «È la mia parte analogica», scherza Marchetti, che in quanto a business invece non scherza affatto. Presidente e amministratore delegato di Yoox Net-a-porter group, il retailer che conta i non proprio simbolici 4,3 milioni di clienti. E che comprende gli e-store multibrand Net-a-porter, Mr PorterYoox e The outnet, così come i flagship online di griffe da Giorgio Armani a Valentino, fino a Bottega veneta e Balenciaga. Un colosso che dal 2018 è passato sotto il controllo di Richemont con il delisting da Piazza affari.
 

Doveva esserci qualche novità ma alla luce dell'emergenza covid-19, Marchetti ha deciso di voler guidare l'azienda «fino a quando non torneremo in acque calme» e di «lavorare instancabilmente per proteggere i dipendenti e il futuro del gruppo», come si legge in una comunicazione interna. Anche se qualche novità nella sua vita professionale c'è stata, visto che è stato di recente nominato membro del cda di Giorgio Armani spa come consigliere indipendente non esecutivo (vedere MFF del 2 luglio 2020).
 

Marchetti guarda sempre avanti, quasi un mantra del suo percorso. Pensa già al prossimo decennio e racconta la sua avventura che prende vita nella mente come un film della Disney, società per cui avrebbe voluto lavorare. Mobile futuristici e cellulari grandi come cabine del telefono. La Bocconi e la quotazione con lo status di Unicorno. Il principe Carlo d’InghilterraBill Gates e Malcom McLaren. Gli anni del Live aid e il Coronavirus. Il supporto ai nuovi talenti, la sostenibilità, l’educazione digitale. Il coding come Esperanto. La generazione Alpha e l’intelligenza artificiale. Come ha raccontato lo stesso Marchetti nell’intervista esclusiva per la cover story di MFF - Magazine For Fashion. «La nuova Coco Chanel è già nata ed è una programmatrice digitale». Un’interview che diventa un film di fantascienza, porta all’immaginazione e al sogno. Matrix meets Federico Fellini.
 

Cosa è successo? Dal tempio della Bocconi all’imprevedibilità della moda?
Il mio sogno da piccolo è sempre stato quello di fare l’imprenditore. Da romagnolo di Ravenna volevo dotarmi di tutti i possibili strumenti per realizzare il mio futuro. Sapevo che lo sarei diventato e volevo fare il minor numero di errori possibili.
 

È vero che le sarebbe piaciuto lavorare in Usa per la Walt Disney?
Sì, è vero, verissimo. Ho anche mandato un curriculum ma non venne preso in considerazione. Del resto, negli Usa è difficile che assumano persone che vengono da fuori. E a me non interessava lavorare dall’Italia. Volevo stare là dove si prendono le decisioni. È un’azienda che ho sempre amato. Lo scorso ottobre, quindi molti anni dopo, sono stato invitato nella West coast al panel WSJ tech live e mi sono trovato a un tavolo con il leggendario amministratore delegato di Walt Disney, Bob Iger, che stava per lanciare Disney+. Da quando ero piccolino Walt Disney è stato per me il brand che raccontava i sogni, l’immaginazione. Un altro che raccontava l’immaginazione era Federico Fellini. Tutto ciò che ha a che fare con l’immaginazione mi affascina.
 

«Immaginazione» è la parola chiave che la segue?
Diciamo che è stata una delle parole. L’altra, secondo me, è il giocare d’anticipo, anticipare i tempi. È cercare di guardare sempre avanti, arrivare sempre per primi e quindi anticipare, anticipare, anticipare il più possibile le cose. In questo c’è bisogno di usare l’immaginazione.
 

Le due cose non possono separarsi…
No, vivono insieme.
 

Fin da piccolo ha avuto intuizioni così forti?
Sì, però non necessariamente tutte buone.
 

Cercare di vedere cose che non ci sono, trovare i famosi buchi da riempire con qualcosa di geniale…
Ho sempre cercato di immaginare il mondo con occhi diversi, dalle cose più bizzarre a quelle più pratiche, sempre con un’idea d’imprenditorialità. Cioè sempre pensando a come si possa trasformare questa immaginazione anche in un modello di business.
 

Un inventore con uno spirito imprenditoriale?
Diciamo. Grazie.
 

Ho letto che a un certo punto voleva fare qualcosa in Africa con le mozzarelle di gnu…
Sì, era una tra le varie idee bizzarre che ho avuto su cui possiamo stare tutto il pomeriggio a parlare. Potrebbe essere anche un bel pezzo quello sulle idee bizzarre di Federico Marchetti prima di lanciare Yoox. Diciamo che quella delle mozzarelle era più una cosa umanitaria che di business, più per aiutare l’Africa a sconfiggere la fame.
 

Dare una chance con un progetto umanitario…
Anche perché erano gli anni di eventi benefici e mega concerti come Live aid. Che è un grande peccato che non ci siano più. A un certo punto spero che facciano la stessa cosa post-Coronavirus.
 

Non è che lo vedremo con uno Yoox aid?
Diciamo che per quello bisognerebbe mobilitare tutte le star del mondo. Yoox non potrebbe essere il regista di un’operazione del genere. Forse Disney…
 

Tornando all’Africa, qual era il progetto?
Avevo scoperto che gli gnu appartengono alla famiglia delle bufale. Ed è vero che con il loro latte si possono fare le mozzarelle. Il vero problema è che dal punto di vista pratico gli gnu non si possono mungere. Sono molto selvaggi. Quindi è un’idea che è durata 5 minuti.
 

E queste idee a chi le diceva?
Mi confrontavo sempre con me stesso. A volte anche con gli amici, a volte con mio fratello maggiore. Non ho mai avuto uno sparring partner, ho sempre avuto una cerchia di persone fidate con cui mi sono confrontato partendo ovviamente dalle mie idee.
 

Live aid, gli anni 80 molto ruspanti, dove c’erano gli yuppies, poi i Nineties con i primi cellulari grandi come le cabine telefoniche. Cosa è scattato in lei, da cosa è partita la sua intuizione per Yoox?
Parlando del telefono, perché è una cosa interessante, me lo ricordo dai tempi dell’università Bocconi. Non so a che anno lo ebbi, ma fui uno dei primissimi sempre per anticipare i trend. Era praticamente una valigetta (ride, ndr). Sono stato sempre molto interessato a tutto ciò che riguarda la tecnologia. Io sono un amante della tecnologia, non in sé e per sé ma di quello che può fare, quello cui può portare. E quindi il telefonino è stato uno degli acquisti più importanti della mia vita.
 

Come ha capito che il cellulare poteva entrare nella vita delle persone?
Dalla realtà. Come quando insegni ai bambini a tenere le mani libere per potersi proteggere, mettendole avanti, in caso di caduta. Ho incominciato a pensare a quando da una parte avevi in mano un mega telefono grandissimo e dall’altra una macchina fotografica. Troppe cose e a quel punto ho immaginato i due aggeggi insieme, un telefonino e una macchina fotografica. Quella a differenza della mozzarella era una buona idea.
 

L’aveva proposta a qualcuno questa integrazione?
L’avevo scritta e buttata giù, con modelli di business e presentazioni. Però mi fermai quando misi a fuoco quali erano i miei limiti. Avevo capito che potevo essere un inventore, sì, ma non un ingegnere. E quindi mi ero immaginato che se fossi andato da un colosso della telefonia non avrei avuto nessun appiglio per dire: «Questa è la mia idea, diventiamo partner». Molto probabilmente se ne sarebbero semplicemente appropriati. E allora mi sono detto: «Vabbeh, magari qualcun altro lo farà».
 

Mentre il discorso di arrivare a portare la moda online? Cos’ha pensato in quel momento?
Secondo me si tratta di quella scintilla che può scattare nell’imprenditore di vedere le cose prima degli altri. Essenzialmente è stata l’immaginazione che, insieme ad anticipare i tempi, mi ha fatto vedere come a un certo punto, negli anni a venire, la moda e il telefonino si sarebbero fusi sempre di più.
 

All’epoca non se ne parlava proprio…
Sia il mondo della moda che quello della telefonia stavano progredendo e bisognava fare in modo che la traiettoria potesse poi convergere. Io volevo essere il trait d’union fra queste due cose.
 

C’è stato un momento particolare dove ha capito che lì sarebbe partito tutto?
Era l’autunno del ’99, una sera ero a lavorare dal computer a casa e stavo cercando un nome per questo mio sogno. Pensai a Yoox.com... La probabilità di trovare un nome di sole quattro lettere che fosse libero era scarsissima. E invece, quando ho visto che quel dominio era disponibile…
 

Ha detto…?
È lui. Ci siamo.
 

Non sembra l’uomo del caso. La parola Yoox ha un significato?
Y e X sono i cromosomi dell’uomo e della donna, lo 0 viene dal codice binario che forma il Dna della tecnologia. E quindi diciamo che questa parola è come il riassunto della mia avventura imprenditoriale, perché c’è sempre stato un bilanciamento tra l’umanità e la macchina. Tutto quello che facciamo è basato sul bilanciamento tra uomo e macchina.
 

Qualche mese fa, con la visita del sindaco Beppe Sala al vostro headquarter di Milano, avete presentato un nuovo progetto con un avatar. Ma dove si arriverà con la tecnologia?
Arriveremo dove vogliamo arrivare. Potremmo investire molto di più sulla macchina ma abbiamo deciso di mantenere questo bilanciamento. È una volontà. Tutto quello che stiamo imparando a livello di sistema serve ad agevolare il talento umano, non a sostituirlo. Si basa tutto sul bilanciamento. Le macchine possono aiutare l’uomo. La tecnologia ci sta aiutando molto in questo momento, noi siamo tutti in smart working.
 

Quest’anno segna un traguardo importante per voi, che è quello dei 20 anni dalla fondazione di Yoox...
Più che un traguardo è una celebrazione.
 

Cosa pensa quando la definiscono il Golden boy visionario o parlano dell’Unicorno…
Più che visionario sono una persona che ha il senso del timing e guarda al futuro. Ho coraggio e propensione al rischio, qualità che non possono mancare se vuoi fare l’imprenditore. Poi bisogna avere una visione, ma tutto sta nell’immedesimarsi nel cliente. Io sono il cliente 1.
 

… La lusinga? Ne è felice?
Sono contento (sorride, ndr). Ma non mi sono mai adagiato sugli allori.
 

Pensa di essere un esempio per alcuni?
Spero di sì. Dal punto di vista dell’etica, guardando a quello che ho fatto per 20 anni. Anche con i miei miei collaboratori e dipendenti cerco di «lead by example». Anche come azienda penso che siamo stati sempre molto coerenti. E ho sempre cercato di tenere alta la bandiera italiana.
 

Cosa succederà nei prossimi dieci anni?
Noi eravamo il futuro 20 anni fa, ma lo siamo ancora adesso. Stiamo continuando a ragionare su quello che potrebbe essere il domani. L’intelligenza artificiale, l’innovazione tecnologica sono parte di questo nostro Dna. Come un circolo virtuoso. È sempre stata un’azienda unica, ha unito per la prima volta moda, tecnologia e design e non esiste un vero competitor con le stesse caratteristiche. Siamo nati prima di FacebookLinkedin, dell’iPhone, di TwitterInstagram…Siamo stati anche innovativi nel modo di comunicare. Abbiamo sempre messo al centro il cliente, il nostro pubblico e continueremo a farlo, a svolgere un ruolo di entertailer. Sicuramente la sostenibilità sarà un tema fondamentale. Le generazioni più giovani tendono ad affidarsi a brand che prendono posizione e premiano le aziende che mostrano una forte consapevolezza su questi temi. Anche in questo caso, ho iniziato a parlarne in tempi non sospetti e ho lanciato Yooxygen, l’area sostenibile di Yoox, nel 2009. In quel momento non ne parlava nessuno.
 

Quali saranno le parole chiave che si immagina per questo nuovo decennio?
Il team è fondato sull’inclusività e la diversità. Sono convinto che una cultura aziendale che promuova la diversità dei talenti, diversità di cultura, di genere, di background, di orientamento, sia imprescindibile per il successo di un’azienda. Yoox Net-a-porter è impegnata in numerose iniziative per raggiungere obiettivi ancora più ambiziosi. A partire dall’Empowering women al sostegno dei nuovi talenti. Ma poi penso ad altre cose innovative che abbiamo realizzato. C’è stato un progetto che si chiamava The wild bunch, letteralmente il mucchio selvaggio, nome che mi fu suggerito da Malcolm McLaren.
 

L’ex compagno di Vivienne Westwood, il fondatore del punk…
È stato un visionario. Gli ero diventato molto amico, il nome mi era stato suggerito da lui nel 2004. Ed era un progetto di tante capsule collection aperto ad altrettanti giovani designer come Jeremy ScottChalayan... Alla fine non era tanto diverso dal Genius di Moncler.
 

Come ha conosciuto Malcom McLaren?
Ero al compleanno di una mia amica che compiva 50 anni, in America. Doveva essere una cosa di un giorno, ma è durata tre perché siamo rimasti bloccati in hotel a causa della neve.
 

Bloccati in hotel dalla neve. Una cosa un po’ alla Shining che però finisce bene… E Bill Gates che parlava con lei di Fellini?
Lo conosce molto bene. Bill Gates è un appassionato di grande schermo, ha un vero cinema dentro casa. Ero stato invitato a cena da lui e avevo portato come regalo una copia di Amarcord, nella versione di cui abbiamo curato il restauro e la digitalizzazione con la Cineteca di Bologna nel 2015. Sicuramente ho conosciuto delle persone interessanti. Come il principe Carlo di Inghilterra…
 

E con il principe Carlo è nato il progetto The modern artisan. Ma lui è simpatico?
È una persona speciale, oltre a essere molto attento alla sostenibilità. Si batte contro la plastica dal 1969. Guarda caso l’anno in cui sono nato io.
 

Ho sentito che vi mandate delle lettere, non delle email. Magari chiuse con la cera lacca, perché giustamente ci vuole un po’ di aplomb britannico…
Per me non è una cosa nuova, io tante volte ho scritto lettere e, anche se sono un uomo di tecnologia, ho un aspetto analogico. Qui nel mio studio c’è un giradischi, c’è un vinile, prendo spesso appunti su un quaderno.
 

Questa parte analogica ogni tanto si fa sentire…
Per esempio, ho usato le lettere anche con qualche imprenditore della moda, con qualche partner strategico. Perché che con tutte le email che uno manda e riceve ogni giorno, il rischio è che alcune vadano perse.
 

Dopo Millennials, già si parla di generazione Alpha ossia dei nati dal 2010. La state studiando? Che caratteristiche ha?
È la prima generazione nata già connessa al web. Le loro dita toccano un tablet prima che una penna. Imparano a condividere foto prima che a parlare. Il più «anziano» di loro ha quasi 10 anni. Sono la generazione più tecnologica di sempre. È per questo che come gruppo ci impegniamo nel promuovere l’educazione digitale. Da molti anni investiamo nella digital education per i giovani. Vogliamo ispirare i ragazzi di tutte le età a diventare gli innovatori e le innovatrici di domani, aiutandoli a sviluppare le competenze necessarie per affrontare una fiorente economia digitale. Attraverso il nostro Digital education program, ispiriamo le nuove generazioni, in particolare le ragazze, a intraprendere carriere in tecnologia, grazie al sostegno dei nostri partner tra cui Fondazione Golinelli a Bologna e Imperial college of London. Dal 2016, ha raggiunto oltre 6.000 bambini e giovani, di cui oltre il 50% sono ragazze.
 

Lei afferma che ci sia già una nuova Coco Chanel e che sarà una programmatrice…
Sì, è vero, lo penso. Noi siamo molto impegnati su quello che riguarda l’educazione digitale, partendo anche dalle ragazzine che di solito sono molto lontane dalla tecnologia. È una missione che ci siamo dati, che mi sono dato. Li aiuterà a trovare lavoro. Il coding è come imparare una nuova lingua. Come non si può prescindere dalla conoscenza della lingua inglese oggi, non si potrà fare a meno di conoscere il linguaggio della programmazione domani. Il coding è come un Esperanto. Per questo sono convinto che la prossima Coco Chanel sia già nata e sarà una programmatrice informatica.
 

Cosa vorranno queste nuove generazioni?
Nascendo prima con l’iPad che con la penna, rispetto a noi hanno una tattilità diversa. Il telefonino? Con questa forma è ancora uno strumento primitivo. Evolverà.
 

Si dice che stiano facendo proprio esperimenti di integrazione nel corpo…
Ecco, tornando al discorso della macchina, so che si sta facendo qualcosa in Svezia con grande successo. Io penso più a qualcosa tipo Matrix, con immagini che si muovono nell’aria.
 

Un po’ anche Minority report, dove si spostano gli schermi nell’aria…
Non so rispondere esattamente ma credo che sarà un’evoluzione del mezzo. Il telefono che avevo comprato ai tempi della Bocconi era soltanto l’inizio di una storia. Nel 2000 quando ho inventato Yoox non c’era l’iPhone, c’era soltanto il Blackberry. E non sapevamo che dal nostro telefonino avremmo generato la maggior parte della nostre vendite.
 

Vendite più del 50% messe a segno dal telefonino?
Esatto.
 

E i ragazzini continueranno a comprare sempre di più con la formula mobile?
Sì. E come sarà il mobile, quello è da vedere…
 

Come cambierà lo shopping con l’A.I.?
Noi abbiamo lanciato la linea 8 by Yoox proprio su questa riflessione. L’intelligenza artificiale e l’analisi dei big data ci aiuteranno a costruire dei servizi sempre più personalizzati per i clienti e a perfezionare l’esperienza di acquisto. Con Yooxmirror è cambiato il modo in cui i clienti possono provare i prodotti, virtualmente facendo un mix & match dei capi direttamente su un avatar di se stessi. Usando le immagini, abbiamo iniziato a insegnare lo stile a una rete neurale, incorporando i nostri 20 anni di esperienza nella cura e nello styling. Le immagini sono i nuovi dati. I nostri ricercatori stanno esplorando la potenza dell’intelligenza artificiale per elaborare il nostro enorme archivio di immagini.
 

Il numero 8 è stato scelto perché simboleggia l’infinito? Come due 0 che uniti e girati danno l’8…
Esatto. Quindi 8 by Yoox è un brand che usa ancora di più i dati, declinati, in un moodboard tratto dai social e dal web oltre che dai nostri insight. C’è un nuovo sviluppo del prodotto, ma il prodotto va interpretato.
 

C’è sempre l’uomo come filtro intermedio…
Anche questa è una scelta. Non è una proposta in competizione con i designer perché parte dal basso, dalla voce di un miliardo di persone. È proprio il contrario di quello che dice la moda...
 

Quindi nasce dall’esigenza del cliente, dai social che sono le persone. È l’opposto di una piramide in cui dalla punta si scende…
Mentre appunto 8 by Yoox parte del basso.
 

Parlando di salite, quando lei ha cominciato, anche finanziariamente, era un’altra situazione. Servivano meno investimenti. La competizione era minore. E poi lei ha iniziato con qualcuno che ha creduto in voi, una sorta di business angel. Com’è il mondo delle start-up oggi?
Beh, dipende da tanti fattori. Dipende da dove, ovviamente. In Italia non c’è ancora un tessuto di venture capitalist. Quello che consiglio sempre è di non avere in mente mai solo l’Italia ma di guardare al mondo. Bisogna pensare in grande. Solo i progetti ambiziosi o quasi impossibili possono essere longevi e durare per sempre.
 

Quanto è difficile?
Ci sono migliaia di start-up nel mondo che durano solo pochi mesi. Solo se sono davvero innovative e soddisfano dei reali bisogni avranno successo, altrimenti no. Ci vuole una sana, folle, visionarietà. Yoox ha soddisfatto un bisogno ancora inespresso ma fortissimo. Ossia consumare il lusso in maniera diversa da quella tradizionale.
 

Deve dire grazie a qualcuno?
Sì, a tantissima gente. Devo ringraziare una miriade di persone. Prima di tutto i dipendenti, collaboratori e manager che hanno portato avanti questi grandi sogni e le mie idee facendoli diventare realtà. Anche i designer che mi hanno dato fiducia così come Mr Rupert e il gruppo Richemont. E poi tutte le persone che mi hanno insegnato un mestiere.
 

Quali creativi sono stati i primi a credere in Yoox?
All’inizio ero un outsider, mi mancavano i contatti chiave nel settore, in pochi credevano nell’e-commerce e qualche rivista mi ha persino chiesto «sei matto?». Ma maison storiche come Armani e Valentino mi hanno aperto le porte, dandomi la fiducia necessaria. Sapevano che il futuro sarebbe stato globale e per questo hanno aderito dimostrando così che la moda non è un settore chiuso e che gli italiani non sono ancorati al passato.
 

Ma è felice?
Molto.
 

In questo caso, lei sembra una persona molto tranquilla…
Sono così come mi vede. Sono abbastanza bravo a gestire lo stress.
 

È questa la sua dote numero uno?
Una delle mie doti è quella che le ho detto prima. Quella di immaginare le cose.
 

Allora continuando a immaginare… C’è qualcuno con cui le sarebbe piaciuto lavorare?
Federico Fellini, senza dubbio.


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